Abbiamo parlato con Ottavio Beretta, collaboratore scientifico dell’Ufficio del Medico Cantonale ed esperto di fake news, dello spinoso tema dell’informazione sulla pandemia. Nel mare di dati e notizie fatte circolare nell’ultimo anno e mezzo, è risultato talvolta difficile per i cittadini (e potenziali pazienti) distinguere le informazioni affidabili da quelle false o fuorvianti, nonché interpretare correttamente dati e cifre.
Signor Beretta, lei si è occupato di fake news in relazione alla pandemia. A suo giudizio, la pandemia ha aggiunto qualche elemento nuovo o i meccanismi legati alla produzione, diffusione e ricezione di bufale e notizie inesatte sono gli stessi che c’erano già prima dell’arrivo del Covid-19?
Le fake news sono sempre esistite ed esisteranno sempre e anche gli elementi dell’attuale schema narrativo non sono nuovi: esiste un segreto, esiste un “cattivo” che per cinismo o per interesse economico minaccia la salute dell’umanità ed esiste il “buono” che cerca di risvegliare le coscienze svelando al mondo il complotto. Il vero cambiamento non è tanto nell’oggetto delle fake news ma nelle nuove modalità di diffusione. Il web e in particolare i social media, se da un lato hanno favorito la pluralità delle fonti, dall’altro hanno prodotto l’assenza totale di mediazione tra chi produce e chi consuma le notizie e stimolato un’enorme velocità di diffusione di qualsiasi news. Se le notizie sono fondate e rilevanti questo meccanismo amplifica la condivisione della conoscenza, se le notizie sono false diventa una potente macchina di disinformazione. Inoltre, è importante sottolineare che i social media non sono degli attori neutrali. I loro algoritmi favoriscono la creazione di comunità internamente omogenee, dandoci la sensazione che le nostre convinzioni siano perennemente confermate da qualcuno. È confortante sapere che tanta gente la pensa come noi ma questo non garantisce che ciò che pensiamo sia corretto.
La pandemia ha portato con sé una grande quantità di dati e statistiche. A suo giudizio, la maggioranza della popolazione è in grado di capire e interpretare correttamente questi dati? È possibile che un eccesso di dati abbia creato confusione?
Ovviamente l’analisi e l’interpretazione di dati complessi richiede rigore e competenza ma è evidente che, in un clima di “infodemia”, la tendenza a cercare informazioni aumenti anche la probabilità di trovare quelle meno accurate. Credo però che sia impensabile una situazione nella quale tutti siano in grado d’interpretare correttamente i dati ed è per questo che esistono le fonti ufficiali.
Molti cittadini sembrano dare un peso maggiore ai potenziali effetti indesiderati dovuti ai vaccini rispetto alle conseguenze causate dalla Covid-19 e decidono di conseguenza di non vaccinarsi. I dati non supportano questo ragionamento. Come mai dunque si tratta di un pensiero così diffuso? Quali suggerimenti si possono rivolgere ai lettori per capire come dare il giusto peso e la giusta proporzione ai differenti dati?
È sempre bene ricordare che se ci sono persone che decidono di non vaccinarsi, ce ne sono molte di più che hanno deciso di farlo. È una maggioranza silenziosa ma è la maggioranza della popolazione. Tornando alla sua domanda, il problema è comune a tutti i vaccini e uno dei punti critici sta nella percezione del rischio. Per aiutare in questa valutazione darei solo due consigli: il primo è non fidarsi di chi riporta numeri assoluti ma valutare sempre la proporzione tra eventi avversi e dosi somministrate (siamo nell’ordine qualche caso su 100.000). Il secondo è considerare che gli eventi avversi riportati sono segnalazioni spontanee che hanno solo una relazione temporale con la somministrazione del vaccino ma non dimostrano una causalità, quindi la proporzione calcolata sopra è probabilmente una sovrastima.
Quali sono a suo giudizio le fake news o teorie non dimostrate che hanno creato e stanno creando maggiori problemi nella lotta alla pandemia? Può citare qualche esempio?
Le fake news che a mio parere fanno più danni non sono quelle con un contenuto specifico ma quelle supportate dagli esperti. Se la “bufala” arriva dal mio vicino di casa è un conto ma se il mio vicino di casa è anche un biologo, un medico o fa parte del personale sanitario allora si passa sul piano della fiducia. Penso che sia grave, anche eticamente, utilizzare questa fiducia per supportare tesi infondate, non dimostrate o non dimostrabili. Il problema non è nell’essere un esperto scettico ma un esperto che trasforma le proprie opinioni in certezze nonostante disponga di tutti gli strumenti per poterne verificare il grado di attendibilità. È attraente il mito del ricercatore solitario che rompe l’omertà e ci dice come stanno le cose, peccato che spesso sia falso. La scienza non funziona così. Se una tesi è sostenuta da una sola persona o da un solo articolo, anche se la persona è un premio Nobel, è meglio coltivare il dubbio. Lo stesso sano dubbio che ci ha permesso di evolvere rispetto all’ignoranza e alla paura.
Collegamenti utili
Dove trovare informazioni affidabili sull’andamento della pandemia? Qualche collegamento utile è reperibile QUI. Nella medesima sezione del nostro sito, si trova anche un Vademecum per l’informazione: una serie di documenti preziosi per orientarsi fra fonti più o meno affidabili.