«Ottenuto da soia modificata geneticamente». Questa è una delle diciture ammesse dalla legislazione. Compreremo presto cibi transgenici? Sembra proprio di no. Le consumatrici e i consumatori continuano a non gradire l’idea di trovarseli nel piatto, mentre produttori e commercio elvetici non si azzardano per il momento a lanciarli in grande stile sul mercato. Ciò non toglie che talvolta qualche traccia si intrufoli lo stesso.
Comunque, almeno nel campo della normativa, la Svizzera ha compiuto grandi passi, assumendo un ruolo pionieristico a livello mondiale. Anche l’Unione europea ha ripreso norme simili. La nostra legislazione è severa e protegge le consumatrici e i consumatori attraverso vari meccanismi.
- L’autorizzazione alla commercializzazione tutela la salute umana.
- L’obbligo di dichiarazione crea trasparenza a livello di informazione e consente di far valere il diritto alla scelta.
- La soglia di dichiarazione dell’1% (in vigore dal 1° luglio ‘99) crea chiarezza riguardo alle contaminazioni involontarie, dovute ai moderni metodi di commercializzazione delle derrate. Purtroppo non soddisfa del tutto le esigenze dei bioconsumatori.
- La dichiarazione negativa, ossia la menzione «ottenuto senza ricorso alla tecnologia genetica», che ci garantisce un prodotto esente da organismi geneticamente modificati e la tracciabilità del prodotto fino all’origine di ogni ingrediente.
Il merito delle associazioni consumeriste
Se si sono fatti tanti passi è anche merito delle associazioni consumeriste svizzere (ACSI compresa) che, a livello nazionale, hanno insistito affinché si considerasse il loro punto di vista. L’esito non era affatto scontato visti gli enormi interessi in gioco sul mercato globalizzato. Ma oggi anche nel mondo ci si sta ravvedendo e l’opposizione al volere delle multinazionali aumenta. Nel frattempo sono diventate pensabili cose improponibili anche solo alcuni anni fa: per esempio, importare merce non transgenica con tanto di certificato dagli USA.
Questo è un ottimo segno. Infatti, nel commercio mondiale del mais e della soia in particolare, ci si sta muovendo sempre più verso una separazione dei flussi di merce transgenici e non transgenici, dal campo al prodotto finito che acquisteremo in negozio, lungo tutto il periplo che dalla terra nord- o sudamericana conduce al porto, al container, alla nave, al trasbordo, al treno, al mulino, all’industria alimentare.
E proprio qui si inserisce uno studio innovativo che sta svolgendo l’Ufficio federale della sanità. La ricerca vuole mettere a fuoco e quantificare lungo il percorso tutti i punti critici nei quali può avvenire una contaminazione involontaria. Questo con lo scopo di ideare e attuare le misure idonee a prevenirla.
Il punto dolente saranno i costi. Nessuno per ora osa sbilanciarsi. Il lusso «ottenuto senza ricorso alla tecnologia genetica» potrebbe costarci in media un 5% in più del prezzo corrente di un prodotto «modificato geneticamente» come prevedono alcuni?
La situazionein Svizzera
Con un’azione coordinata i laboratori cantonali della Svizzera nordoccidentale (Argovia, Basilea Città, Basilea Campagna, Berna e Soletta) hanno cercato in diversi prodotti non dichiarati la presenza di mais OGM ma i risultati sono tutti negativi. Dei 93 campioni (pop corn, semola, polenta, conserve, corn flakes, tortilla chips e snaks di mais), 6 non contenevano assolutamente mais OGM mentre in tutti gli altri la percentuale presente di OGM era sotto il limite legale dell’1% a partire dal quale un prodotto deve essere dichiarato in etichetta. I dati delle analisi condotte, comunque, confermano quelli dell’anno prima e i chimici cantonali dichiarano che le percentuali di OGM sono così basse che non dovrebbero essere state aggiunte intenzionalmente ma risultato dei vari passaggi di trasporto. Importatori e produttori svizzeri avrebbero dunque la situazione sotto controllo.
Etichetta negativa
La nuova regolamentazione degli OGM precisa anche quali sono le condizioni necessarie e indispensabili per quella che viene definita un’etichetta “negativa” delle derrate alimentari. Le derrate alimentari così etichettate porteranno la menzione “ottenuto senza ricorso alla tecnologia genetica”. Anche queste etichette saranno sottoposte a stretti controlli su tutta la filiera produttiva poiché si presume che questo tipo di etichetta possa diventare una forma di pubblicità.
Il fornitore di un tale prodotto deve essere in grado di produrre tutti i documenti necessari per provare, senza il minimo errore, che i suoi prodotti non contengono sostanze derivate da un OGM e che nessun OGM è intervenuto nel processo di fabbricazione. Quest’ultimo punto riguarda anche le derrate alimentari di origine animale: gli animali non devono essere stati allevati con alcun foraggio derivato da OGM per poter attribuire etichette “negative” alla carne, alle uova o ai latticini. Ovviamente, sotto la soglia dell’1% di OGM. La soglia di dichiarazione è, infatti, la stessa sia che un prodotto abbia un’ etichetta “positiva (modificato geneticamente) sia un’etichetta “negativa” (senza modifiche genetiche).
L’ACSI partecipa al Werkstatt Ernährung & Gentechnologie (Gruppo di lavoro su alimentazione e tecnologie genetiche) con la sua rappresentante Leda Soldati. Inoltre, l′ACSI è fra le organizzazioni che sostengono l′iniziativa “Stop OGM” che chiede una moratoria di 5 anni sulla coltivazione di piante e allevamento di animali geneticamente modificati.
Per saperne di più
- Richiedete all’ACSI l’opuscolo realizzato col WWF “Con o senza? L’ingegneria genetica negli alimenti”, gennaio 2001 e
- “Derrate alimentari geneticamente modificate: regole di etichettatura applicate in Svizzera” pubblicato dall’Ufficio federale della sanità pubblica.