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Olio di palma, impatto ambientale sottostimato

Lo affermano i ricercatori svizzeri del Federal Institute for Forest, Snow and Landscape Research in relazione ai dati raccolti nelle piantagioni dell’Indonesia, che, insieme alla Malesia, detiene l’85% del mercato globale dell’olio di palma. Olio e grasso che, ricordiamolo, sono quasi onnipresenti negli alimenti lavorati e semilavorati che acquistiamo al supermercato, anche in quelli che all’apparenza possono sembrare più salutari. Su questi aspetti le organizzazioni dei consumatori chiedono alla politica una maggiore responsabilizzazione delle aziende produttrici.

Convertire un solo ettaro di foresta pluviale indonesiana a coltivazione di palme da olio causa un rilascio di CO2 nell’atmosfera (perché non più trattenuto dalla vegetazione e dal terreno) equivalente a quello emesso da 530 persone che volano in classe economica da Ginevra a New York. Questo è solo uno dei confronti contenuti nello studio dei ricercatori svizzeri pubblicato di recente su Nature Climate Change e citato da Il Fatto alimentare (quotidiano online indipendente italiano). I dati sono stati raccolti per due anni nella zona centrale di Sumatra e i risultati mettono in discussione le stime fatte finora, perché l’impatto di questa pratica sarebbe assai peggiore del previsto.

Gli autori hanno infatti dimostrato che un ettaro di foresta convertito a coltivazione di palme da olio corrisponde all’emissione di 174 tonnellate di carbone nell’atmosfera: lo stesso ettaro coltivato in modalità intensiva ne “emette” 159 e in modalità estensiva 116. Le differenze dipendono in gran parte dal fatto che le piantagioni di palma hanno un elevatissimo turnover, che non permette al terreno di riprendersi e necessitano, tra un raccolto e l’altro, di grandi quantità di fertilizzanti e di pesticidi.

Ma cosa fare, visto che da questa produzione dipende anche il sostentamento di molte famiglie residenti? Secondo i ricercatori la deforestazione andrebbe autorizzata solo a determinate condizioni, come la garanzia che il legno venga utilizzato e non bruciato (come avviene di solito), o dopo aver fissato limiti severi sulla quantità di biomassa da lasciare a terra come fertilizzante naturale (di solito non viene lasciato quasi nulla) o ancora dopo aver imposto il reimpiego degli scarti delle palme come fertilizzanti.

Più a lungo termine, gli autori suggeriscono di adottare i metodi indicati da OPAL Project (Oil Palm Adaptive Landscapes), lanciato dall’agenzia svizzera per la cooperazione internazionale, che sta studiando come avere coltivazioni di palma da olio senza deforestare, e ha già individuato alcune zone dove ciò è possibile, sia nella stessa Indonesia sia, per esempio, in Colombia, nella savana, o in Camerun.

Lo studio è pubblicato QUI.